Una matita

25.06.2019

Racconto con il quale ho vinto il concorso nazionale di scrittura Parole In Corsa 2011.

Telemaco era un giovane ragazzo nato in una famiglia poco abbiente al tempo di Napoleone e Leopardi. Abitava in un piccolo paese sulle colline del Monferrato, e da lì non si era mai mosso; per questo, da tempo, sognava di andarsene. Avrebbe tanto voluto fare un viaggio, una semplice vacanza, andare al mare o al lago e fare delle lunghe passeggiate respirando aria diversa da quella di casa. Vagheggiava la sua piccola evasione e attendeva con impazienza il giorno giusto per realizzarla.
Un bel mattino partì: tutto quello che aveva era una bicicletta, ma il cielo era sereno, l'aria mite e si sentiva in forze, pronto a raggiungere il mare; tutto ciò gli sembrava abbastanza. Iniziò a divorare metri su metri: se gli altri camminavano, lui pedalava e li superava senza fatica. Ma dopo alcune ore si accorse che, per quanto si sforzasse di andare veloce, c'era chi lo sorpassava in carrozza e certamente sarebbe arrivato prima di lui a destinazione, qualunque essa fosse. Telemaco capì di non essere poi così fortunato e, sfinito, si arrese abbandonando il suo sogno.
Telemaco non vide mai il mare.


Alfonso, di poco più grande di Telemaco, aveva due cavalli e una carrozza. Anche lui voleva andarsene dal suo paese collinare per fare fortuna in America. Sapeva quanto fosse difficile intraprendere un viaggio simile, ma un giorno bardò i cavalli e partì.
Gli sembrava di andare veloce: per la strada incontrava perlopiù persone a piedi, che in fretta si lasciava alle spalle con una punta di orgoglio; incrociò anche un ragazzo ormai esausto che arrancava con una bicicletta, e si sentì fortunato. Ma dopo qualche ora, per quanto spronasse i cavalli, si accorse che non bastava. Ci sarebbe voluta una locomotiva o una nave per arrivare in America, e lui aveva soltanto una carrozza. Alfonso capì di non essere fortunato come aveva pensato, e si arrese abbandonando il suo sogno.
Alfonso non arrivò mai in America.

Osvaldo era un ragazzino molto povero. Non aveva mai avuto molto dalla vita, se non una famiglia amorevole e un pezzo di pane per sfamarsi ogni giorno. Avrebbe voluto anche lui viaggiare e scoprire posti nuovi, ma non aveva niente e una piccola casupola ammuffita era il suo mondo. Quando era in strada, guardava con ammirazione le carrozze che passavano coi i cavalli al trotto e in cuor suo pregava il cielo che almeno gli donasse una bicicletta. Non voleva andare al mare, e nemmeno in America: la sua fervida fantasia voleva raggiungere la luna, quel disco argenteo che molte notti lo faceva restare a naso insù per diverse ore, col fiato sospeso per la bellezza. E si doleva, perché non aveva nemmeno una bicicletta, e la luna non poteva certo raggiungerla a piedi. Se gli altri correvano, lui rimaneva indietro.

Un giorno trovò una matita in terra e la raccolse; era consumata e sgretolata in cima, ma aveva la punta robusta. Pur non sapendo che farsene, Osvaldo la portò con sé. Quella sera, guardando la luna, se la girava e rigirava tra le dita come un portafortuna e fu lì che, all'improvviso, ebbe l'illuminazione. Sarebbe partito e avrebbe raggiunto la luna: non si sarebbe arreso.
Osvaldo si procurò della carta e, con la sua matita consumata, iniziò a disegnare abilmente alberi, campagne fiorite, carri e buoi: così lui immaginava il disco luminoso della notte e, sebbene non l'avesse mai visto, i disegni gli parevano più reali della sua stessa casupola. La sua vita era in quei disegni.
Chissà se Osvaldo diventò un artista? Ciò che sappiamo è che divenne un ragazzino sorridente. Felice dei suoi viaggi senza bicicletta, felice con la sua sola matita consumata.
Osvaldo capì di essere più fortunato di quel che aveva pensato, pur senza carrozza, ma non senza sogni.
Osvaldo trovò la luna.
Seguendo il proprio sogno e accontentandosi. Di una matita.

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